Gemma di forma ovoidale, fronte convessa, e colore viola con scena matrimoniale in posizione centrale.
			Raffigurazione di due coniugi colti nell'atto di stringersi la mano destra (dextrarum iunctio) al di sopra di un altare. Le due figure sono in piedi, disposte una di fronte all'altra, con l'uomo ad occupare la fascia sinistra e la donna la fascia destra della scena, e sono separate da un altare collocato nel mezzo. L'uomo e la donna si tengono la mano destra, e con la stessa tengono anche una spiga di grano. L'uomo veste la toga. Ai loro piedi è raffigurato un altare sul quale arde una fiamma. La scena qui raffigurata rimanda ad uno dei momenti culminanti della cerimonia nuziale, la stretta della mano destra. La dextrarum iunctio è un tema ricorrente nell'iconografia romana, e rappresenta, più che la cerimonia nuziale stessa, la fedeltà coniugale. Lo schema iconografico è quello canonico, ed è di frequente attestata anche la presenza dell'altare con fiamma ardente posto ai piedi degli sposi, che sottolinea il carattere sacro del matrimonio. La spiga di grano viene poi inserita come presagio di fecondità.
			
			
			
							
								
												
			
								Ambito Culturale
						Ambito romano
 
												Cronologia
						I-II secolo d.C., fine/inizio sec.
 
												Materiale e Tecnica
						Ametista / incisione
 
				
								
					Dimensioni
					Altezza: 10,5 mm 
Larghezza: 8,5 mm 
Spessore: 9,5 mm 
				  
								
												
								
				
								
				
								
								
				
								Collocazione
						Museo Archeologico
XVIII
 
								
								
								
								Stato di conservazione
						Intero
 
								
								
								Specifiche di reperimento
						Donazione Piazza 1856
 
								
								
								
				
								
								Osservazioni
						Il tema iconografico fa ipotizzare che questa gemma fosse destinata ad essere incastonata in un anello nuziale. Lo schema iconografico con il motivo della spiga di grano fra i due personaggi trova confronti con incisioni su gemme di provenienza aquileiese (cfr. SENA CHIESA 1966).